La Dichiarazione di PotsdamIl documento con cui il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Thomas Handy autorizza il bombardamento atomico sul GiapponeNel luglio del 1945 l'atomica è diventata una realtà. Alle 5,30 del 16 luglio una luce incredibile ha illuminato il deserto del New Mexico. Una luce d'oro, di porpora, d'indaco, di viola, di verde striato di bianco. Ed una nube simile a un fungo è salita fino a 13.000 metri d'altezza. La forza d'urto dell'immane scoppio è stata calcolata uguale a quella di ventimila tonnellate di tritolo.
Alcuni giornalisti, ignari di quanto era accaduto, riportano che ad Alamogordo un deposito di munizioni è saltato «con straordinari effetti luminosi ». Uno era presente: è William L. Laurence, il redattore del New York Times, che si esaltò allo spettacolo, e scrisse: « Fu come il gran finale di una possente sinfonia degli elementi: affascinante e terrificante, entusiasmante e deprimente, minacciosa, devastatrice, piena di grandi promesse e di grandi minacce... In quel momento comprendemmo l'eternità. Il tempo si fermò. Lo spazio si ridusse a una punta di spillo. Fu come se la terra si fosse aperta e il cielo si fosse squarciato. Sentimmo di essere stati prescelti per assistere alla nascita dell'universo, per essere presenti al momento della Creazione in cui il Signore disse: "Sia fatta la luce" ».
Truman si trova in Europa, alla Conferenza di Potsdam. Lo raggiunge un messaggio strano: «I bambini sono nati felicemente». Significa che la bomba ha funzionato. Il Presidente si confida con Churchill, il quale lascerà scritto: «Resta il fatto storico, e sarà giudicato nei tempi venturi, che la scelta dell'uso o del non-uso della bomba atomica per costringere il Giappone alla resa non fu posta nemmeno. Attorno al nostro tavolo l'accordo fu unanime, automatico, né mai sentii soltanto accennare che si sarebbe potuto agire in modo diverso». Unanime e automatica non è invece la scelta del tipo di bersaglio: per alcuni deve essere una città del Giappone non ancora distrutta dai bombardamenti convenzionali, altri vorrebbero far assistere i giapponesi a una dimostrazione delle capacità devastanti della bomba.
Il 23 luglio il colonnello K. D. Nichols, inviato dal generale Groves, si reca da Arthur Compton con l'ordine di comunicargli i risultati definitivi dei suoi sondaggi. Compton trascorre un'ora di tensione, sebbene la decisione ultima non spetti a lui ma al Presidente. Poi dice: «Il mio voto personale collima con quello della maggioranza. Credo che al punto attuale si debba usare la bomba, ma non più drasticamente di quanto sarà necessario perché il Giappone si arrenda».
Passano altri tre giorni. I Governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Cina diramano un comunicato congiunto, offrendo la resa all'Impero Giapponese. Ma nel proclama non è fatto alcun cenno all'arma totale. L'ultimatum scadrà il 2 agosto. La radio giapponese informa quasi subito che la Dichiarazione di Potsdam (questa la denominazione ufficiale del comunicato) non è stata neppure presa in considerazione. Quindi, il Governo di Tokyo rifiuta sdegnosamente l'offerta.
Il 3 agosto Harry S. Truman decide: sì alla bomba, il più presto possibile, su un centro abitato, ma non viene precisato quale, anche se viene prospettata una rosa di quattro città. Sarà il pilota a decidere.
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